Se avete qualche anno sulle spalle ricorderete una vecchia serie survival horror chiamata Alone in the Dark, che esordì nel lontano 1992 con il primo episodio a dir poco terrificante (nel senso che incuteva spavento nel giocatore, non certo che fosse brutto). Fa strano quindi, nel 2015, ritrovarsi di fronte a un titolo come White Night, che ripesca dall’idea di un personaggio che deve affrontare in solitudine gli orrori di una magione sperduta impregnata di misteri e strane creature.
La particolarità di White Night sta tutta nello stile grafico. Tutto il gioco è in bianco e nero, e ricorda i tratti d’inchiostro e i fumetti di Dylan Dog e certi lungometraggi noir che facevano capolino nelle sale cinematografiche americane a cavallo tra le due Guerre. La bicromia non rappresenta solo uno stile originale con cui mostrarci gli accadimenti, ma una parte integrante del gameplay grazie a originali enigmi che sfruttano appieno luci e ombre.
Ad esempio può capitare di scovare dopo parecchio tempo un importante oggetto che si trovava sotto al nostro naso, tuttavia invisibile ai nostri occhi fino all’accensione di qualche luce. Purtroppo, dai survival horror, White Night non solo coglie i pregi ma anche alcuni difetti. Il più importante coinvolge la telecamera, che resta fissa in punti precisi delle stanze della magione e che costringe a gestire i movimenti del personaggio in relazione alla sua collocazione. Di per sè questo non sarebbe un difetto grave se non venisse amplificato dallo stile grafico particolare, che in diverse occasioni non concede all’occhio una sufficiente profondità di campo.
Detto questo, White Night è un videogioco da prendere seriamente in considerazione se amate i giochi un po’particolari che cercano di proporre qualcosa di nuovo nel mondo dei survival horror, pur guardando insistentemente al glorioso passato del genere al quale appartiene.